Onorevoli Colleghi! - L'ordinamento italiano, che riconosce i diritti della famiglia fondata sul matrimonio, non soltanto omette di riconoscere diritti fondamentali, di offrire soluzioni giuridiche a situazioni ed esigenze, pur meritevoli di tutela, che riguardano un numero sempre maggiore di cittadini, ma si pone in evidente contrasto con quella che è la tendenza dei Paesi europei. La stessa Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, all'articolo 9, espressamente riconosce il diritto al matrimonio e il diritto a formare una famiglia come diritti distinti. Il nostro ordinamento si pone in palese contrasto con tale principio, non riconoscendo alcun diritto in capo alla famiglia non fondata sul matrimonio, fatti salvi alcuni specifici interventi di natura giurisprudenziale.
      Già il Parlamento europeo, nella risoluzione A3-0028/94 dell'8 febbraio 1994 sulla parità di diritti per gli omosessuali, aveva posto l'attenzione sulla necessità che le persone omosessuali dovessero avere accesso al matrimonio o ad un diritto equivalente. È da porre in evidenza, dunque, che qualsiasi soluzione di minore portata non corrisponde alla piena e sostanziale parità fra le coppie formate da persone di sesso diverso e le coppie formate da persone dello stesso sesso, che deriva invece dal principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione italiana. D'altra parte, la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale non è soltanto quella che attiene ai diritti dell'individuo in quanto tale, con riferimento alla sua identità e alla sua libertà di espressione, ma è soprattutto quella che attiene alle relazioni affettive, ove si svolge la personalità dell'individuo. Su questo tema rilevante nel campo dei diritti civili occorre intervenire con una riforma del diritto di famiglia che auspichiamo, e a cui

 

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si richiama la proposta di legge n. 1562, contestualmente presentata.
      La scelta di offrire una regolamentazione giuridica a forme di famiglia diverse da quelle fondate sul matrimonio, che qui si intende affrontare, fa riferimento al principio della pluralità dei rapporti affettivi. L'importanza dell'istituto dell'unione civile che si propone, il quale viene introdotto al libro I del codice civile, sta nel fatto di riconoscere diritti e doveri in capo alle coppie che non vogliono o non possono sposarsi, prevedendo un legame di natura diversa, e sicuramente più «leggero» rispetto al legame matrimoniale. Il principio della pluralità attuato mediante l'introduzione di istituti tra loro diversi che riconoscono con maggiore o minore forza le coppie formate da persone dello stesso sesso o di sesso diverso, è ormai ampiamente diffuso nei Paesi europei: basti pensare al patto civile di solidarietà in Francia, all'unione di fatto in Portogallo e, ancora, alla regolamentazione giuridica della convivenza di fatto o dell'unione civile adottata nei Paesi scandinavi, nei Paesi Bassi, in Ungheria, in numerose regioni della Spagna. L'introduzione di nuovi istituti volti al riconoscimento giuridico di unioni affettive e forme di convivenza diverse da quella fondata sul matrimonio non intende ignorare, né porsi in contrasto, con il principio costituzionale sancito dall'articolo 29 della Costituzione: l'istituto del matrimonio non viene in alcun modo intaccato ma, anzi, è espressamente sancita l'inapplicabilità delle norme che trovano fondamento nel principio del favor matrimonii, e la posizione giuridica dei coniugi non viene alterata neppure in relazione alla posizione giuridica delle parti dell'unione civile. Al contrario, la presente proposta di legge risponde all'esigenza di garantire, mediante il riconoscimento della pluralità delle unioni affettive e delle forme di convivenza, i princìpi sanciti dall'articolo 2 della Costituzione, laddove è stabilito che la Repubblica garantisce i diritti dell'individuo nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.
 

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